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  • Immagine del redattoreSofia Schubert

Salomé: femme fatale o pacificatrice?

Aggiornamento: 10 mag 2022

“…La figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: “dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista…“.


Matteo nel suo Vangelo descrive così Salomé. La scena è dunque questa: ad un ricco banchetto, Erode, marito della madre di Salomé, rimane incantato dalla danza della giovane e le offre tutto quello che lei vorrà in cambio. E Salomé, su consiglio della madre, chiede di avere la testa del Battista su un vassoio d’argento. Ma chi è Salomé, una delle figure più rivisitate della storia dell’arte, che dai racconti biblici ha affascinato ed ispirato pittori come Caravaggio, Filippo Lippi e Tiziano, scrittori come Oscar Wilde ed addirittura compositori come Richard Strauss?


“Colei che danzando ottenne il sacro capo di San Giovanni Battista”, come recita l’epigrafe del quadro della Salomé del Moretto, è figlia della Principessa Erodiade, a sua volta una delle figure bibliche che più eccitarono l’immaginazione degli artisti e dei poeti. Erodiade era infatti moglie di Erode Filippo, da cui divorziò essendosi follemente innamorata del fratello di questi, Erode Antipa, durante un viaggio a Roma, sollevando uno scandalo senza precedenti ed attirando nemici da ogni parte. Fu proprio San Giovanni a denunciare pubblicamente il comportamento dei due amanti, e per questo motivo fu catturato, imprigionato da Antipa e messo a tacere. Ma ad Erodiade, descritta come macchinatrice, la burattinaia ambiziosa e tentatrice, questo non bastava. Erodiade voleva letteralmente la testa di Giovanni Battista e la ottenne attraverso sua figlia Salomé.


Ma Salomé è storicamente esistita? In realtà sì, anche se la Salomé storica ha poco a che fare con quella biblica. Quella storica, di cui abbiamo il profilo sul verso di una moneta coniata nel 54 d.C., sarebbe nata intorno al 15 a.C., sposata con un tetrarca della Palestina, rimasta vedova e risposata ad un suo primo cugino, divenuto in seguito Re di Armenia sotto l’imperatore Nerone. Quella biblica compare invece nei vangeli di Marco e Matteo, ed è solo citata in quanto “figlia di Erodiade”. Il nome Salomé compare solo nelle Antichità giudaiche (XVIII 136-139) dello storico Giuseppe Flavio.

Le primissime rappresentazioni del famoso banchetto di Erode appaiono in un vangelo frammentario di San Matteo trovato a Sinope, antica città di fondazione greca sul Mar Nero. Il manoscritto è in lettere d’oro e pergamene di porpora e data del sesto secolo. Già qui ci sono tutti gli elementi che poi saranno quelli tradizionali dell’iconografia: la tavola riccamente imbandita, Erode che vi siede e Salomé, che, ancora danzante, riceve la testa del Battista su un vassoio.


La storia di Salomé è dunque un incrocio fra storia e leggenda: giovane, bella e di una sensualità inconsapevole, è ridotta a un mero strumento di vendetta della madre. La Salomé dei passi dei Vangeli è infatti ancora una figura oscura ed ignota, relegata nell’ombra della personalità di Erodiade.


Durante tutto il Medioevo viene rappresentato quasi esclusivamente il momento della danza, come vediamo a San Marco a Venezia, nella magnifica serie di mosaici bizantini, dove ritroviamo il banchetto in una delle grandi lunette. Qui, alla sinistra di Erode è rappresentata una sinuosa Salomé, vestita di rosso e di ricchi gioielli d’oro, intenta nella sua danza mentre regge sopra la testa il vassoio con il capo del Battista. Medioevo e Rinascimento la vedono in seguito sempre legata alle vicende della vita di San Giovanni, narrazione fra le più popolari insieme a quelle del Cristo e della Vergine. Giotto ne dà una rappresentazione negli affreschi di Santa Croce e Pietro Lorenzetti nella Chiesa dei servi di Maria a Siena.


Con il Rinascimento, la figura di Salomé si trasforma. Sfuma la dimensione della sensualità e dell’eccentricità e con queste il senso del peccato e la della demonizzazione. Quella che regge il vassoio con la testa del santo è una giovane ed eterea ragazza dai lunghi capelli biondi o castani e dalla carnagione chiara. Come la Salomé di Tiziano, del 1515, che raffigura la giovane che con un’espressione di mista di tristezza e disgusto distoglie lo sguardo dalla testa del Battista, in un’ambientazione velata da un controllato orrore.



Caravaggio, Salomé con la testa di Giovanni Battista, 1609

Anche la Salomé del Caravaggio ha tratti eleganti, un’espressione composta, e come quella di Tiziano distoglie lo sguardo, mentre la madre è rappresentata non più come una donna sensuale ma come una vecchia, che spia la macabra testa da sopra la spalla della figlia. Ma qui il carattere etereo e placido dell’opera di Tiziano lascia il posto a una delle massime espressioni della drammaticità ed oscura teatralità del Merisi. Il soggetto di Salomé è caro a Caravaggio, che lo dipinge anche nella decollazione di San Giovanni, ancora più cupa e macabra, perfetta nei dettagli, come quello degli zampilli di sangue che schizzano dal collo del santo. Ma anche oltralpe il mito di Salomé offre interessanti spunti artistici, Albrecht Durer, di ritorno dal suo secondo viaggio in Italia nel 1511, realizza un’incisione della giovane che al cospetto del banchetto, mostra la testa del battista ad un Erode quasi inorridito.


Dopo un quasi totale oblio di circa due secoli, avviene la trasformazione di Salomé in archetipo della femme fatale, del male sotto forma di incanto, della lussuria distruttrice e morbosa. Si può dire che questa ritrovata presenza e questo protagonismo, siano dovuti proprio all’insolubile legame che si crea con il Battista: Salomé è lo strumento del martirio di Giovanni e quindi sigillo della sua santità, ciò la colloca in una posizione di potere che la rende a suo modo protagonista della leggenda, fino ad oscurare lo stesso Battista. Nel corso del tempo questo aspetto le permette di acquisire sempre di più autonomia e protagonismo, fino a diventare, per Gustave Moreau, una figura avvolta nel sensuale mistero della bellezza femminile: la maga, l’incantatrice consapevole del suo potere di seduzione. In questa prospettiva le rappresentazioni di Salomé tornano a fiorire durante tutto l’Ottocento, e la giovane torna rimodellata dall’immaginario romantico, diventando l’emblema dell’eros più pericoloso, portatore di male che induce alla perdizione, alla perversione e alla morte. I romantici scoprono l’orrore come fonte di bellezza, di seduzione e distruzione, è l’eterno topos di eros e thanatos, con un pizzico di esoticità. Come la Salomé esotica di Georges Rochegrosse, che danza agli occhi rapiti degli uomini, in una sala colonnata simil romana, con temi egizi ed assiri alle pareti, in un clima generale di lascivia e sensualità.

L’apice di questa visione è rappresentata dalla Salomé di Oscar Wilde, illustrata da Aubrey Beardsley. Wilde e Beardsley sono due outsiders di una società perbenista e ipocrita e rappresentano l’altro lato della pruderie vittoriana. È dal loro incontro che a fine Ottocento nasce quest’opera controversa e scandalosa che unisce elementi di narcisismo e di ipnotica bellezza. Erotismo e morte si fondono, in una sensibilità decadente e intrigante, dove Il culmine del dramma si raggiunge quando Salomé prende tra le mani la testa di Iokanaan, San Giovanni, e la bacia, abbandonandosi alla passione.


Salomé è dunque passata nel corso del tempo al lato oscuro della storia, una storia scritta e plasmata da uomini. Ha raggiunto così le altre grandi seduttrici, da Elena a Cleopatra, Circe, Medea e Lady Macbeth. Donne pericolose, perché troppo influenti e potenti, che sono consapevoli della propria femminilità e sanno usarla per sottomettere l’uomo, che privato della sua dignità, ne reclude il fascino e la fine intelligenza in un semplicistica contrapposizione fra bene e male. O angeli o streghe. E pensare che Salomé, in realtà, significa “la pacificatrice”.


Bibliografia


Storia dell’Arte Italiana, dal Cinquecento all’Ottocento (vol. VI), Giulio Einaudi Editore, 1982



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