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  • Immagine del redattoreEdi Guerzoni

Ma quale buio? I maestri delle vetrate medievali

Aggiornamento: 19 dic 2020

Baldricus, Ragerulfus, Stracholfus, Wernherus, Rogerus, Gherlacus, Tancho. Nomi bizzarri che anche agli esperti storici dell’arte spesso dicono poco o niente. Se a partire da Giotto l’artista diventa una star riconoscibile da chiunque, per i lunghissimi secoli del Medioevo essere un’artista significava spesso restare nell’ombra di una bottega o di un cantiere. Nella storiografia tradizionale, il medioevo è stato descritto per anni come periodo “buio”. Eppure, per tutte le scoperte e le innovazioni sociali che avvennero in quegli anni, la verità è un’altra: non solo non fu affatto buio, ma risplendette di incredibile luce, una luce che filtrata anche dalle affascinanti vetrate medievali. I personaggi che ho citato all’inizio sono proprio dei maestri vetrai, alcuni dei pochissimi che troviamo citati nelle fonti e che rarissimamente si sono firmati, o ritratti, nei propri lavori. Ma andiamo a scoprire chi fossero questi maestri e cosa significasse all’epoca creare una vetrata colorata e istoriata.


Si è soliti pensare alle vetrate come una caratteristica dello stile Gotico, eppure questa tecnica iniziò ad essere praticata sin dall’antichità classica. Nell’epoca antica i vetrai godevano di grande prestigio, al pari dei loro colleghi orafi. In questo periodo arrivavano ondate migratorie di esperti artigiani dalla zona siro-palestinese all’Europa. Il loro prestigio li faceva godere di alcune immunità e obblighi, come quello di poter insegnare l’arte della vetrata esclusivamente ai propri parenti o discendenti. Nel Medioevo la situazione cambiò drasticamente: con l’editto di Teodosio, del IV secolo d.C., i vitrarii furono cacciati dalle città a causa dei rischi di incendio e inquinamento delle officine. Un altro motivo per la loro emarginazione fu l’antisemitismo, visto che spesso queste maestranze avevano origini ebraiche. Diventando una produzione periferica, le fonti scritte a proposito delle vetrate divennero sempre più rare e per questo motivo conosciamo poco di questi primi secoli di produzione. Inoltre, fino al 1100 le fonti sono scarsissime in merito a questa tecnica.


Una delle più antiche opere di cui si ha notizia risale al VII secolo, ritrovata negli scavi nelle chiese di Jarrow e di Monkwearmouth, in Inghilterra, i cui i vetri, però, non erano ancora dipinti. La prima vetrata dipinta che è stata rinvenuta dagli archeologi medievisti risale alla seconda metà del IX secolo. Uno dei motivi per cui poco si sa di questo tipo di opere d’arte è sicuramente riconducibile alla loro estrema fragilità. Alcune vetrate che possiamo osservare ai giorni nostri sono ampie ricostruzioni, spesso dell’Ottocento, come nel caso della Saint Chapelle di Parigi.


Le prime informazioni più precise a proposito di vetrate vengono da un trattato scritto nel XII secolo da un monaco-artista che si faceva chiamare Theophilus. Sebbene non siano state ritrovate molte opere, si immagina che al tempo di Theophilus la tecnica della vetrata dipinta fosse al suo apice, e non agli inizi. È verso la fine del XII secolo che furono costruite e dipinte alcune tra le vetrate più conosciute al mondo, come quelle della cattedrale di Chartres, iniziate negli anni Novanta del 1100 e tuttora tra le meglio conservate in Europa.


Le vetrate delle chiese si allargarono proprio in questo periodo, andando di pari passo con l’ingigantimento delle strutture architettoniche gotiche. Le pareti in pietra si fecero sempre più piccole, lasciando spazio alle enormi finestre. La tecnica del vetro dell’epoca impediva la fabbricazione di lastre uniche, e per questo motivo si affinò la tecnica dell’invetriatura per piccoli pezzi colorati, che erano assemblati all’interno dalle legature di piombo, materiale malleabile che permetteva di aderire alle forme dei vetri. In questi secoli, la pittura per eccellenza era quella su vetro. Se nel primo periodo i soggetti furono prettamente religiosi, con una grande preferenza per le immagini di Maria e dei santi, man mano che la tecnica si sviluppava si iniziò a trattare temi mondani, rappresentando re e regine, ma anche contadini e scene della vita dei campi.


Gli artisti continuavano ad essere chiamati da tutte le zone del mediterraneo e dell’Europa e divenne prestigioso servirsi di maestranze straniere. L’abate Suger di Saint Denis, nei pressi di Parigi, fu tra coloro che lasciarono più testimonianze in merito, sottolineando che per la sua cattedrale furono chiamati maestri da diversi luoghi: la prerogativa comune era di avere una manu exquisita, che sapesse eseguire i disegni scelti dal committente alla perfezione.

Spesso i maestri vetrai erano monaci, ed erano chiamati da un luogo all’altro per le loro rinomate capacità, come nel caso di Tancho, un monaco di San Gallo, importantissima abbazia francese del IX secolo, che fu chiamato ad Aquisgrana per realizzare le sue opere d’arte.


Conoscere i volti di questi maestri è difficile, ma esistono alcune rare testimonianze. La più eclatante è quella del maestro tedesco Gherlacus, attivo principalmente tra 1150 e 1160. Nelle cinque vetrate dell’abbazia di Arnstein, poi spostate nel Westfalisches Landesmuseum di Münster, è presente un unicum, ossia l’unico esempio di autoritratto di un maestro vetraio. Gherlacus si autoritrae con abiti eleganti, mentre tiene in mano un vasetto in cui intinge un pennello che usa per tratteggiare le ombre sul vetro colorato.



Nel tondo che lo inquadra, che ricorda vagamente un’aureola, la scritta «Rex regum clare Gerlacho propiciare» invoca la protezione di Dio sul suo lavoro. Gherlacus fu l’esecutore delle cinque monofore del coro della chiesa di Arnstein, ma per alcuni ne fu anche il donatore: solo così avrebbe potuto permettersi di inserire un elemento così autoreferenziale nella composizione. Sebbene alcune figure dello star system delle vetrate siano riconoscibili, la realtà di questo tipo di arte pittorica era collettiva. Non si trattava di botteghe fisse dove un gruppo lavorava sempre insieme, come sarà nelle botteghe dei pittori rinascimentali, ma di cantieri dove diverse professionalità si incontravano, arrivando da posti diversi per collaborare alla realizzazione delle decorazioni di una chiesa. Le testimonianze rispetto a questo approccio al lavoro di cantiere sono più tardive, e risalgono soprattutto al 1300, ma possiamo pensare che fosse sempre stato così. Per avere informazioni sui metodi di lavoro dei secoli precedenti si possono osservare le opere del XII secolo: nelle vetrate di Chartres, per esempio, si possono distinguere diversi stili all’interno di una stessa vetrata, dimostrando che numerosi maestri lavorassero ad un solo programma.


Innanzitutto, per realizzare un’opera, i temi erano scelti dal committente. Le composizioni erano preparate dal magister, esperto pittore delle vetrate che si occupava del cartone con il disegno preparatorio. I vetri erano tagliati dagli esperti artigiani del vetro in base alle forme indicate sul cartone. Infine, questi artigiani si occupavano di comporre i vari vetri posizionandoli sul disegno preparatorio e unendoli tra di loro con il piombo.


Le vetrate medievali, simboleggiando con la loro luminosità la luce divina, erano il massimo prodotto artistico del tempo, ed è giusto ricordare di chi furono le mani che le crearono, riconoscendo la maestria ormai perduta di grandi artisti come Baldricus, Stracholfus, Rogerus, Gherlacus e Tancho, che hanno dato luce a queste splendenti opere d’arte.


Bibliografia


Enrico Castelnuovo, Artifex Bonus. Il mondo dell'artista medievale, Laterza, Roma-Bari, 2004


Enrico Castelnuovo, Vetrate medievali. Officine, tecniche, maestri, Einaudi, Torino,1997


Prosper Boissonnade, Life & Work In Medieval Europe, Routledge, Londra, 2005

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