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Il potere psichico delle immagini. L'arte della memoria

Il termine “mnemotecnica” non rende l’aura misteriosa e suggestiva di questa disciplina, ma la sua etimologia sì. Deriva da Mnemosine, personificazione della memoria e madre delle Muse. Nell’Antica Grecia, la memoria è una dea: grazie a lei, poeti e letterati tramandano gli avvenimenti e le imprese degli uomini del passato e quindi, in un certo senso, li rende immortali.


Che oggi la nostra memoria sia poco allenata è un dato di fatto. Per noi oggi è inimmaginabile l’idea di trasmettere solo oralmente le nozioni.

Prima dell’invenzione della stampa (1420 in Germania), prima ancora della scrittura (circa 3000 a.C. in Mesopotamia), la società era fondata sull’oralità: gli avvenimenti, le conoscenze, le tecniche, venivano trasmesse oralmente, di padre in figlio. Ricordarsi di qualcosa poteva essere una questione di vita o di morte. Pensiamo a un viaggio da compiere, magari attraversando foreste, mari o deserti. Era imprescindibile conoscere le direzioni dei venti, la posizione degli astri nel cielo, le erbe e le bacche commestibili, la strada per fare ritorno a casa. La memoria non è solo uno strumento di sopravvivenza per il passato, lo è anche per destreggiarsi nel presente. Sono state elaborate diverse tecniche per allenarla e potenziarla.

Quali suggestioni si celano dietro l’arte della memoria?

E in che modo questa disciplina si lega alla cultura visuale?


Nell’arte della memoria classica, l’arte della memoria è funzionale all’arte dell’oratoria e della retorica.

Si narra che l’inventore sia il poeta Simonide di Ceo: Cicerone racconta l’episodio nel De Oratore. Uscito un attimo prima che il tetto crollasse, Simonide rimane l’unico superstite di un banchetto: per riconoscere i commensali, visualizza mentalmente l’ordine in cui si erano seduti. è così che il poeta comprende il primo principio per una buona memoria: disporre ordinatamente vari elementi per fissarli. Cicerone sottolinea anche il fatto che l’invenzione dell’arte della memoria di Simonide si fonda sulla supremazia della vista sugli altri sensi.

Altre due descrizioni della mnemonica classica sono giunte a noi, entrambe in trattati di retorica, una scritta da un anonimo, Ad Caium Herennium libri IV, l’altra da Quintiliano, l’Institutio Oratoria.

Ciò che dal punto di vista della storia dell’arte e delle immagini ci interessa sono due tecniche, quella dei loci e delle imagines agentes. La prima consiste nell’imprimere nella memoria una serie di luoghi, appunto, il più comune di questi è di tipo architettonico. Si deve ricordare un edificio spazioso -può essere un palazzo che si conosce oppure un luogo inventato- con varie camere, statue e mobili. Ad ogni oggetto si associa una parte del discorso. Seguendo l’ordine della successione dei luoghi dell’edificio, si è sicuri di non sbagliare.


L’altra tecnica è quella delle imagines agentes, letteralmente “immagini che agiscono”. Questo metodo immaginativo consiste nell’associare a una parola un’immagine in grado di colpirci. Nei trattati sulla memoria, si consiglia di pensare a immagini che provocano in noi grande attrazione o repulsione: l’impatto psicologico è più potente se l’immagine contiene elementi connotati da piacere o da disgusto (come ad esempio un uomo che impugna un’arma ricoperto di sangue). Al contrario, un’immagine quotidiana e banale tenderà a svanire dalla nostra mente.

Nei trattati latini di retorica, il maestro dà qualche esempio e poi incoraggia gli allievi a crearsi le proprie immagini mentali: ciò che è efficace per qualcuno non lo è necessariamente per un altro.


L'arte della memoria lavora su un piano che oscilla tra la libera associazione e la cognizione, l’intuizione e la disciplina. Trae linfa vitale dal mondo delle immagini mentali, studia le leggi che regolano le associazioni e le analogie e cerca di applicarne le dinamiche. E non si limita a questo: da una parte sfrutta questi meccanismi, dall’altra il potere psichico delle immagini, ovvero la consapevolezza che più sono vivide, più sono in grado di agire sulla nostra psiche.


La studiosa Frances Yates ne L’arte della memoria (1966) mette in relazione la storia dell’arte della memoria con gli studi culturali, la storia dell’arte, l’iconografia e la letteratura. Nel saggio, Yates sostiene che l'arte della memoria non sia servita soltanto a ricordare testi e immagini già esistenti, ma anche a produrre opere "memorabili".


Nei secoli del Medioevo viene recuperato il De inventione di Cicerone, che cita la memoria come parte della Prudenza, una delle quattro virtù cardinali: questo è il motivo per cui l’uso della memoria si configura più avanti come un dovere morale. Nei secoli medievali, è nei monasteri che la cultura fiorisce: in questi luoghi sacri l’oratoria rinasce come predicazione. Se nel mondo greco e romano la memoria è funzionale a discorsi politici o giudiziari, ora lo è per imprimere le caratteristiche del paradiso e dell’inferno, le strade che portano alla salvezza e alla dannazione, le virtù cardinali e i vizi capitali.

A partire da questa consapevolezza, Frances Yates avanza l’ipotesi che le raffigurazioni delle virtù e dei vizi come quelle dipinte da Giotto nella Cappella degli Scrovegni possano nascere come immagini di memoria composte secondo le regole classiche, ognuna con delle caratteristiche chiare e degli oggetti riconoscibili. Ancor più rivoluzionaria è l’intuizione che la struttura dell’Inferno di Dante possa considerarsi come un luogo di memoria, un sistema mnemotecnico per ricordare le pene che attendono chi pecca in vita. Le immagini dei peccatori sono scioccanti, e vengono distribuite su una successione ordinata di luoghi. Non ricordano forse le imagines agentes e i loci? Se non direttamente, l’idea che queste -come altre opere del periodo- possano aver subito degli influssi dall’arte della memoria e dalle sue creazioni è plausibile, oltre che affascinante.


L’invenzione della stampa rende obsoleti i sistemi mnemotecnici medievali nel Rinascimento. Nella letteratura religiosa del Quattrocento l'arte della memoria si intreccia con la morale, l’occultismo e la tradizione ermetica, ovvero un insieme di dottrine filosofiche e mistico-religiose di derivazione egiziana e pitagorica che affondano nella cosmogonia e praticano la magia.

è al filone della memoria occultistica che appartiene L’idea del teatro di Giulio Camillo, pubblicato a Firenze nel 1550: a partire dalla struttura di un anfiteatro, l’autore concepisce un sistema ordinato secondo le regole della mnemotecnica con l’intento di racchiudere il sapere umano a immagine e somiglianza della struttura neoplatonica dell’universo. In questo caso, all’impostazione enciclopedica tipicamente cinquecentesca si sovrappongono l’architettura classica di Vitruvio, la mitologia, l’astrologia e la filosofia neoplatonica.


Da strumento di conoscenza, a via per la gloria eterna, a portale di accesso alla salvezza e poi fonte di comprensione delle leggi che regolano l’universo, il legame tra arte della memoria ed elevazione spirituale -trasformandosi a seconda degli influssi socio-politici, artistici e religiosi- permane nei secoli.














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