Raytrayen Beakovic Lauria
Il Collage: un linguaggio di denuncia
Dalla guerra in Vietnam con Matha Rosler all'indipendenza basca di José Ramon Morquillas.
Continua il nostro viaggio nell'artivism a cura di Raytrayen Beakovic Lauria
L’arte e la politica sono, da sempre, legate indissolubilmente. Nell’antichità l’arte si poneva spesso al servizio del potere politico, si pensi ai monumenti dedicati ai personaggi storici, militari o alle guerre. Ma, contemporaneamente, nei secoli, la creazione artistica si è posta come strumento in supporto alla denuncia di violenze, ingiustizie e malagestione delle governance politiche: una bozza di artivismo.
Per esempio, Artemisia Gentileschi, nel Seicento fu una delle prime figure femminili a denunciare lo stupro che subì in giovane età. O ancora, nell’Ottocento, quando Goya dipinse I soprusi della guerra in chiave di denuncia; o qualche decennio dopo, quando Eduard Manet ruppe lo schema prospettico antico, basato sulla visione piramidale, per prediligere uno schema democratico, dove tutte le figure sono poste sullo stesso piano, con un importante impatto sulla realtà. Questi sono alcuni dei casi che si possono leggere come precursori dell’artivismo; ovvero la corrente nata tra l’unione dell’arte con l’attivismo, cioè quando l’arte diventa protesta politica e sociale. Ed è proprio contro le violenze politiche e la società capitalista occidentale contemporanea che gli artisti si sono spesso schierati.
Intorno agli anni Sessanta la corrente della Pop art, con personaggi come Andy Warhol, stava conquistando il mondo, e con lei iniziava a farsi spazio una mentalità consumistica. L’arte figurativa tradizionale cominciava a perdere fascino e pubblico, soprattutto a causa dell’invasione della televisione nella maggior parte delle case. I fruitori passivi, erano sempre più affamati di immagini veloci, accattivanti e standardizzate, quelle in cui ogni persona appartenente alla classe medio borghese si poteva riconoscere.
Parallelamente, proprio negli Stati Uniti si creò un movimento artistico alternativo che raggruppava tutti i personaggi che rifiutavano le scelte politiche nazionali prese in merito alla Guerra in Vietnam di fine anni Sessanta. Adottando tecniche contemporanee di forte impatto politico e sociale, come quella del fotomontaggio. Opere come Cleaning the Drapes della serie “House Beautiful: Bringing the War Home” (1967-72) di Martha Rosler (New York, 1943) hanno denunciato gli orrori della guerra che si consumavano davanti agli occhi sopiti dei cittadini americani; che, nel loro angolo di paradiso economico, accettavano passivamente le decisioni governative. Usando un doppio linguaggio iconografico, componendo immagini dove fotografie di reportage della guerra prese dalla rivista “Life” vengono inserite in tranquilli interni domestici estrapolati dalla rivista di architettura “House Beautiful” l’artista suggerisce così una relazione tra la politica estera e la cultura interna del consumismo. La tecnica scelta, come già detto, era utilizzato nei movimenti antagonisti, poiché il messaggio raffigurato si rende ben esplicito e prende quasi la forma di un manifesto politico. Ci furono altre opere caratterizzate da tecniche simili dove spesso la parte figurativa si riduceva a chiari messaggi composti da slogan o immagini di consumo comune.
Alcuni decenni dopo, questa volta in Europa, una tecnica simile, quella del collage, viene utilizzata per dei fini molto analoghi da Josè Ramon Morquillas (Baracaldo, 1947), poco più giovane della Rosler. Un personaggio poliedrico e scomodo per la realtà istituzionale bilbaina: artista, professore all’accademia, e critico d’arte in collaborazione anche con alcuni giornali, oltre che all’arte figurativa si è dedicato anche alla pubblicazione di poemi.

Non si tratta più del grande scandalo della guerra del Vietnam, anche se ancora una volta si parla di una denuncia sociale. Questa volta, la voce è quella di una lotta che ancora oggi passa abbastanza in sordina: la questione dell’indipendenza dei Pasei Baschi (Euskadi), la regione spagnola più a nord.
Una vicenda che perdura da secoli, rafforzata ancora di più in seguito al regime franchista che proibì la lingua basca. E che vide protagonista il movimento nazionalista che sostiene la piena indipendenza della comunità autonoma Euskadi.
Nel 2000 Josè Ramon Morquillas si dedica alla serie “Bilbao Style”, una serie di collage con tema principale l’uomo, il suo contorno e il suo quotidiano, nello specifico, come si deduce dal titolo, riferiti alla cultura Bilbaina.
Quello che si differenzia dai fotomontaggi americani è il fatto di creare degli sfondi caratterizzati da paesaggi costruiti imitando lo stile della pittura basca più antica; anche la cromia è completamente rispettata. Accanto ai richiami formali degli artisti tradizionali c’è anche una sorta di nota di ironico sarcasmo nel citare alcuni quadri della collezione del Museo de Bellas Artes de Bilbao, come La visita inoportuna di Eduardo Zamacois del 1868 (o Los Intelectuales de mi Aldes di Ramon Zubiarres). Morquillas accosta a questi paesaggi scenografici ritagli delle icone culturali che caratterizzano la vita quotidiana, di ieri e di oggi, della cultura basca. In scenari di campagne povere e spoglie, tipicamente postindustriali e distopiche, spesso compare l’architettura del Museo Guggenheim, protagonista di molte opere della serie, in compagnia di critici e direttori dei musei contemporanei. Oppure simboli nazionali, dichiarati punto forte dell’economia locale ma comunque oggetto di molte critiche, come la produzione dei carciofi. Insieme a questi simboli culturali spesso si trovano pistole o scarafaggi, utilizzati come concetto del negativo.
Le opere di Jose Ramon Morquillas sono cariche di ironia provocatoria, che mischia la nostalgia con il disincanto verso una società lasciata in pasto alle logiche capitalistiche e consumistiche che non preservano le vere tradizioni locali che andrebbero conservate. La denuncia è contro una classe istituzionale politica e culturale che, annebbiata dalle mire espansionistiche globali, si fa forte di un’identità nazionale autonoma offuscando quella che è la vera lotta del movimento indipendentista basco.
Jose Ramon Morquilla per le sue critiche aperte verso la politica cittadina e culturale bilbaina, nel corso della sua carriera, dopo il successo riscosso a livello nazionale, ha avuto alcuni problemi legali con il Museo de Bellas Artes di Bilbao. Tutt’oggi in vita lo si può incontrare nei bar delle calle del Casco Viejo, il centro storico della città di Bilbao, a raccontare la sua storia, divulgando una conoscenza di arte e politica europea offuscata dal mainstream, ma intrinseca di significato, e che non dovrebbe cadere nell’oblio.
Bibliografia
- https://www.galeriavanguardia.com/artistas/morquillas-jose-ramon/
- Javier Aldama, Morquillas, 15/11/2000 in C el Cultural, n/p visibile at https://elcultural.com/Morquillas
- https://www.moma.org/collection/works/150123
- https://www.martharosler.net
- https://www.castellodirivoli.org/collezione-video/artista/martha-rosler/
- Carolyn Christov-Bakargiev, La possibilità della felicità, in <<Exploit. Come rovesciare il mondo ad arte. D-istruzioni per l’uso>>, a cura di Giorgio De Finis, Fabio Benincasa e Andrea Facchi, Bordeaux, 2015, pp. 242 - 249.
- William C. Seitz, The art of assemblage,The Museum of Modern Art: Distributed
by Doubleday, 1961. http://www.ricardofranco.eu/index.php/mis-amigos-artistas/347-homenaje-a-jose-ramon-sainz-morquillas