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  • Immagine del redattoreEdi Guerzoni

Gli archetipi di Edward Hopper

Aggiornamento: 12 nov 2021

Edward Hopper nasce nel 1882 nello stato di New York, e cresce in una famiglia di tradizione battista che lo educa al rigore. La passione per la letteratura e per l'arte lo allontanano dalla vita religiosa, seppur lasciando uno strascico di un moralismo tradizionalista per tutta la sua vita. Si appassiona molto al teatro, che influenzerà la sua visione dei caratteri umani. Studia alla New York School of Art e dopo il diploma ha l'opportunità di viaggiare in Francia, Inghilterra e Spagna, confrontandosi direttamente con l'arte europea. Tornato negli USA, per anni si dedica all'incisione e lavora come grafico pubblicitario, abbandonando temporaneamente la pittura. Il suo successo nel mondo dell'arte arriva quando ha quarant'anni e si è da poco sposato con Josephine Verstille Niviso. Muore negli anni Sessanta e resta tutt'oggi uno dei più acclamati pittori del realismo americano.


Durante la pandemia globale del 2020, Hopper è stato più volte chiamato in causa dai giornali specializzati e generalisti. I suoi quadri si sono ben prestati per evocare le sensazioni spaesanti del lockdown, tanto che diversi artisti contemporanei e curatori si sono ispirati alle sue opere per realizzarne delle nuove, come nel caso della mostra online "Hopperiana", curata dalla galleria Photology di Milano. Le immagini dei suoi quadri sono state utilizzate anche per un articolo dedicato alle conseguenze psicologiche dell'isolamento.


La sensazione che si rintraccia più sovente nella retorica, appunto, hopperiana, è quella della solitudine. Nei personaggi statici, nel vuoto delle strade americane, si può provare una sensazione molto simile a quella provata dall'inizio della pandemia. Perché i suoi quadri restano così attuali, nonostante siano stati realizzati ormai un secolo fa?


I quadri di Hopper sono fatti per lo più di semplificazioni: i volti non hanno una fisionomia, le strade non hanno cartelli stradali, i muri sono spogli, le finestre sono dei semplici rettangoli senza indizi decorativi. Le stanze di Hopper possono sembrare quelle di chiunque abiti in Occidente, sospese come sono nel tempo e nello spazio. Persino le ombre sono allo stesso tempo molto realistiche, pur essendo inventate dal punto di vista tecnico. Così, le sue immagini sono diventate un simbolo mediatico contemporaneo per parlare della solitudine.


Eppure, nell'arte di Hopper, anche se sicuramente la solitudine è spesso palesato, esistono altre motivazioni nelle scene dei suoi dipinti. Queste scelte sono molto più legate alle relazioni, ai rapporti e alle storie interpersonali, che all’isolamento. Lui stesso dichiara che ''si parla troppo di solitudine. In questo modo si riduce a una formula qualcosa che non vuole essere formulato.''


Alcune scene di Hopper possono sembrare dei momenti sospesi, di lontananza dal mondo esterno. Ma a ben guardare, e soprattutto analizzando le influenze teoriche e poetiche del pittore, sono spesso scene ritagliate da una storia che ha a che fare con l'interazione umana. Sembra lo storyboard di una sceneggiatura. Come le ha descritte Peter Schjeldahl, non sono immagini di un lungo periodo di noia e immobilità, ma sono ‘’Il culmine della suspance di una storia ignota’’.


Se, da un lato, era il teatro a influenzare Edward Hopper, dall’altro per trattare di relazioni umani la sua fonte prediletta era la psicologia. Negli anni di formazione, uno degli autori preferiti dell'artista è Gustav Jung, allievo ribelle di Sigmund Freud. Nel suo viaggio in Francia, Hopper entrò in contatto con il mondo Surrealista, profondamente influenzato dalla psicanalisi. Questa passione si trasporta nelle opere di Hopper nella trattazione delle emozioni umane.



L'esperienza parigina lo mette a confronto con un mondo dissoluto, o almeno rispetto al puritanesimo americano. Nonostante assapori la vita di un americano a Parigi, come quella descritta in Tropico del Cancro da Henry Miller, piena di alcool e sesso, la critica riconosce che il suo moralismo resta impassibile e addirittura l'esperienza francese ''non fece altro che rafforzare la sua fede nella dicotomia tra vergine e sgualdrina''. Un tema, quest'ultimo, che si riflette in una rappresentazione della disperazione femminile moralista, e in particolare della disperazione della sessualità femminile, molto influenzata dalle letture psicanalitiche, che avevano ridotto il genere femminile a un costante sinonimo di impotenza.



Edward Hopper, Summer Interior, 1909, Olio su tela, 61 x 73,7 cm, Whitney Museum of American Art, NY


Un esempio di questa solitudine legata alla relazione sessuale è il quadro ''Summer Interior'', del 1909, dipinto appena rientrato a New York da Parigi, che rappresenta una ragazza accasciata a terra, nuda dalla vita in giù, con il volto nascosto dalla penombra, mentre si appoggia, stravolta, al bordo del letto. Le luci che entrano nella stanza non hanno nessuna fonte riconoscibile, Hopper opta di nuovo per una semplificazione, scegliendo di illuminare la stanza e la protagonista a suo piacimento. Il suo stato deprecabile non è che una lettura pregiudicante: ''L'artista-moralista è qui palesemente all'opera'' [p. 57 de Il teatro del silenzio]. Hopper, come altri suoi contemporanei, applica le teorie psicoanalitiche più all'altro che a sé stesso, trasponendole per esempio sulla condizione femminile, sottintendendo la bassezza morale dell'atto sessuale con la raffigurazione disperata della donna. Almeno, questo, in teoria, quello che ci vede il pittore americano.


Nelle situazioni ricreate da Hopper si trova sempre qualcosa che si può spiegare individualmente, per cui quest'opera può far intuire una storia diversa a chiunque la guardi. Questa è l'interpretazione che si dà della storia di Hopper. Un pittore che è riuscito a realizzare delle formule visive applicabili a contesti infiniti. Come ha fatto, quindi?


Uno dei pilastri della teoria di Jung è quella degli archetipi, i modelli ripetuti e basilari dell'esperienza umana, gli stessi dei tarocchi, dello zodiaco e, appunto, della psicologia. Hopper utilizza gli archetipi in modo figurativo, rendendo esteticamente questa vaghezza che ricorda qualcosa a chiunque, un po' come la poesia.


Una strada, un benzinaio, una persona sola in un bar, una donna che fissa un punto al di là di una finestra, una coppia che non si guarda negli occhi, tutte queste rappresentazioni della realtà racchiudono gli archetipi contemporanei., ed è per questo che ci riconosciamo tuttora.


Bibliografia

Walter Wells, Il teatro del silenzio: l'arte di Edward Hopper, Phaidon, 2011

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