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Fernando Botero: un pittore contemporaneo d'altri tempi

Le figure enfatizzate di Botero non sono solo satira o idillicità


Anche la satira è un modo di fare denuncia politica, quindi si può facilmente dedurre che Fernando Botero con le sue forme estremizzate, nel suo periodo di maturità estrema stia compiendo un atto artistico politico.


Fernando Botero (Medellìn, 1932) è un artista poliedrico colombiano, conosciuto a livello internazionale per le se figure abbondanti e tondeggianti, che hanno destato particolarmente scalpore, spaccando in due il gusto e il pensiero della critica.


C’è chi Botero lo apprezza e chi invece sostiene che di contemporaneo non abbia proprio niente.


Lo stile caratteristico dell’artista è insolito, soprattutto per quanto riguarda l’arte figurativa contemporanea tradizionale.

Botero intraprende la carriera d’artista molto giovane, imparando la tecnica a menadito, che caratterizza la maggior parte della sua produzione. Altrettanto presto riscosse i primi risultati: ha appena sedici anni alla sua prima mostra e poco dopo investe i soldi delle vincite dei premi artistici per viaggiare in Europa: Spagna, Francia ed infine Italia. Qui conosce le opere dei maggiori artisti delle tradizioni artistiche delle rispettive nazioni visitate, come Velázquez, Francisco Goya, Tiziano, Mantegna, l’Avanguardia Francese.


Durante la sua ricerca artistica Botero si concentra sullo studio delle forme e dei colori, prediligendo una dilatazione irreale delle prime e, nei secondi, innaturalità, piattezza e brillantezza dalle tonalità pastello. Insieme a ciò si nota un forte richiamo, nello stile e nei soggetti, agli studi dei pittori antichi come Giotto, Leonardo, Piero della Francesca e Raffaello e, contemporaneamente, all’arte popolare latino americana, all’arte preistorica ed ad artisti tradizionali più contemporanei come Diego Rivera e Picasso. Trattando sempre temi e soggetti di differenti ambiti, ma tutti accompagnati da questa rotondità, all'esagerazione di certi elementi, da un ritorno continuo alle sue origini e alle radici della pittura dei grandi maestri.


Annika Sajurjo afferma: “La sua pittura non è caricatura, non è pura ironia, né sarcasmo irriverente. È pura realtà sciolta nel magico prisma del raccolto dell’adulto che fu bambino, adolescente e giovane in un piccolo villaggio di uno stato esteso dell’America Latina.”


Per la maggior parte della sua carriera l’artista si è prettamente concentrato, come detto prima, allo studio della forma. A partire dalla sua prima deformazione, Natura morta con mandolino (1956), dove il soggetto del mandolino è talmente dilatato da avere una cassa di risonanza deforme; fino ai quadri più noti e più recenti come la Monna Lisa (1977) o le scene di nudi, circo, con citazioni antiche ed episodi ecclesiastici, il segno distintivo di Fernando Botero è quello che il main stream definisce “figure grasse”.


Purtroppo la società in cui viviamo è (ancora) impregnata di stereotipi e quindi apparentemente le forme enfatizzate di Botero vengono subito colpite dal body shaming e definite appunto “grasse” o “ciccione”. La sensualità, la semplicità che deriva dalle proporzione intenzionalmente non rispettate dall’artista, rispondono invece ad una sua precisa intenzione; ovvero quella di rompere quella che lui definisce “una dittatura dell’arte figurativa”. Uno stile originale che, rifacendosi anche alle influenze dell’arte primitiva, medievale e moderna, rompe in tutti i sensi con i suoi contemporanei, aggiungendo del surreale ai suoi soggetti.

Questo modo di raffigurare i soggetti in maniera alterata non vuole solamente creare surrealismo, scenari angelici e mantenere una visione pura da infante. Tanto meno è volto ad un fine meramente estetico, che tende verso l’accettazione e il godimento del pubblico. Bensì Botero, con le sue forme dilatate, i suoi colori piatti ma brillanti e le sue scene senza tempo né spazio, vuole comunque lanciare dei messaggi.


Tra gli anni Settanta e Ottanta, avviene suo periodo di massima maturità artistica, e oltrechè continuare a sovvertire la forma Botero, inizia a trattare temi più impegnati, pur non facendo di questo un manifesto politico. Iniziando ad interessarsi intorno a questioni riguardanti la politica Latino Americana, come nella raffigurazione El Presidente (1975). Il quadro raffigura la parodia di un capo di Stato Latino Americano, nel tipico stile dei re nobili del XVII e XVIII secolo. La figura, adornata di medaglie militari, è la rappresentazione di un politico che è più interessato allo stile piuttosto che alla sostanza, un tipico atteggiamento dei Capi di Stato durante gli anni delle dittature militari in Argentina, Brasile e Paraguay. Le proporzioni gonfiate delle sue figure, oltre che essere investite di tutti i significati sopracitati, iniziano anche a suggerire un elemento di satira politica.

Botero dedica altre opere alla satira fino a quando si inizia ad impegnare quasi completamente nella scultura in bronzo, anche qui prediligendo lo stesso stile nella forma esasperata e rotondeggiante.


A partire dal 1999 l’artista ha deciso di cambiare registro di linguaggio e messaggio, responsabilizzandosi ulteriormente, dedicandosi così, in modo più attento, alla denuncia politica aperta, partendo dalla condizione politica violenta del suo paese natio. Il pittore sente una necessità di realizzare quadri che prendono le vesti si monumenti storici, per ricordare il “folklore horror”, opere che rappresentino scene realmente accadute ed emblematiche per il suo paese, come testimonianza di un pezzo di storia colombiana caratterizzata da forte violenza.


Lo stesso artista dichiara: “Ho dipinto tutta la vita la Colombia, gli aspetti più amabili che conobbi durante l’infanzia e l’adolescenza, oggi non provo direttamente in prima persona la violenza, dato che vivo all’estero da molto tempo, però la conosco attraverso le notizie. La violenza iniziò a rimanere nella mia testa e un giorno sentì che avrei dovuto dipingere, fare una dichiarazione dell'orrore che provavo davanti a questo panorama del Paese”.


Così Botero, pur non avendo mai dipinto in maniera diretta i fatti storici o gli eventi della realtà immediata, inizia una produzione di testimonianze storiche e stesso tempo artistiche; in un primo momento in maniera allusiva e poi sempre più servendosi di referenze concrete. Cinquanta opere di questa serie sono state donate, dopo essere state esposte internazionalmente, al Museo Nacional de Colombia che in cambio gli ha dedicato una Sala in esposizione permanente.



Abu Ghraib (2005)


L’epifania di questo momento di cambio di registro rispetto i temi trattati da Botero, si ha con la serie di Abu Gharaib, nel 2005, quando l’artista decide di uscire dalla sfera colombiana e affrontare anche scene di violenza internazionale. La serie di dipinti infatti è una chiara citazione e denuncia denuncia ai fatti relativi alla pluri violazione dei diritti umani commessi contro i detenuti nella prigione di Abu Gharaib in Iraq da parte dell’Esercito degli Stati Uniti e della CIA, durante la guerra in Iraq iniziata nel 2003. Queste violenze inclusero abusi fisici, sessuali, torture, stupri e omicidi, che si registrarono con incidenti isolati ma pratiche consuete nei centri di detenzione americani all’estero come in Afghanistan e Guantanamo.


Le opere, di queste serie, e delle opere più politiche, incontrano una gestualità più libera nei movimenti, ottenuta grazie alle pennellate che si avvicinano a quelle di una pittura “diretta”. Botero afferma infatti che: “il sentimento che sperimentai nel dipingere questi quadri non è lo stesso piacere che provo dipingendo il mondo che solitamente dipingo. È un’altra sensazione. Lo stesso fatto di propormi, come artista, trovare un’immagine simbolica che rifletta il grande dramma della Colombia, significa entrare in uno stato mentale che non è accogliente bensì doloroso. La ricostruzione artistica del conflitto, che finalmente si riduce ad un certo numero di immagini o simboli, è una necessità che uno prova, quella di non vivere voltando le spalle a questa situazione, il mio Paese ha due facce. La Colombia è un mondo amabile che io dipingo sempre, ma ha anche questa terribile faccia della violenza. Quindi in un certo momento devo mostrare l’altra faccia della Colombia”.

Gli episodi e i personaggi raffigurati raccontano di tempi non più così spensierati o satirici, bensì testimonianze di brutalità di una società contemporanea alla deriva. Botero continua a sostenere: “continuo a pensare, come Matisse, che l’arte è una grande sedia dove l’uomo si siede per sperimentare un momento di piacere”.



Bibliografia



- Aa. Vv., Testimonio de la barbarie, Parti del catalogo dell’esposizione a Santiago Londoño, 2004

- Annik Casciero de Sanjurjo, Botero. La magia de la realidad, in “El Tiempo, Bogotà”, 9 dic 1979

- Clemente Airò, En el Museo Nacional. El X Salon de Artistas Colombianos, in “El Tiempo, 26 sett 1957

- Fernando Botero, Con dolor de patria, in “Revistas Diners”, marzo 2001, p. 24.










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