“Questo è un lavoro di disapprendimento, e considero questo lavoro di disapprendimento come uno dei più importanti processi di decolonizzazione.
Ci dobbiamo chiedere chi sa cosa? E chi non lo sa? E perché? E cosa è riconosciuto come un sapere? Quali storie sono raccontate? E come sono raccontate?”.
Grada Kilomba è innanzitutto psicologa, di formazione freudiana, ma anche scrittrice e artista multidisciplinare. Si definisce come una cantastorie interessata in modo critico alle questioni di memoria, di trauma, di sesso, di razzismo e di post-colonialismo. Il suo è un lavoro di “performing knowledge" che spazia dal testo, alla lettura scenica, alla performance, collegando narrazioni scientifiche e liriche. Kilomba rivela le narrazioni del passato coloniale, dando spazio alle voci che sono rimaste in silenzio e i cui traumi sono sempre presenti. Nelle sue stesse parole: "E se la storia non fosse stata raccontata correttamente? E se la nostra storia fosse infestata da una violenza ciclica proprio perché non è stata sepolta correttamente? Come portiamo collettivamente sulle nostre spalle 6000 anni di storia?”. Kilomba parla delle ferite sociali e coloniali attraverso un’opera ibrida di linguaggi scientifici e artistici, dove le strutture del sapere e del potere cercano di trovare nuove configurazioni.
Nell’autunno del 2021 ha presentato al Palais de Tokyo il suo primo lavoro cinematografico « A World of Illusions ». Una trilogia di video basata sulla mitologia greca come rappresentazione del conflitto umano. Nell’opera, la trama del mito è la base per costruire una narrazione che risponda alle domande su razza, genere e sessualità, per restituire il mito al pubblico, ma in chiave moderna e post-coloniale. Ispirandosi a personaggi come Narciso, Edipo e Antigone, Grada Kilomba attinge alla storia per dare corpo, voce e forma alla propria scrittura critica. Attraverso questo strumento, contemporaneamente sovversivo e poetico, Kilomba sposta il focus della narrazione su altri elementi non ancora evidenti, fa parlare i miti classici di questioni politiche attuali e ci invita a pensare a nuove configurazioni di potere e conoscenza.
Così, nel primo capitolo della trilogia, Illusions Vol. I Narcissus and Echo, Narciso non è solo sinonimo del culto del sé, ma diventa la metafora dell’incomprensione e del travisamento. In Illusions Vol. II Œdipus, il secondo capitolo, la figura di Edipo serve per mettere in scena i sistemi ciclici di violenza che permeano la nostra società dall’antichità.
Ma Edipo è anche sinonimo di conoscenza. È lui il primo a trovare la risposta al quesito della Sfinge e liberare Tebe ed il suo popolo. Nel mito, la libertà coincide quindi con un momento di conoscenza. È partendo da questa riflessione che possiamo inquadrare tutto il lavoro di Grada Kilomba. Se l’epistemologia è, per definizione, l’acquisizione della conoscenza, questa acquisizione si elabora in tre momenti principali. Innanzitutto, bisogna definire le questioni : quali argomenti e quali domande meritano di essere poste? Successivamente bisogna scegliere i paradigmi di interpretazione : da quale punto di vista dobbiamo analizzare queste domande? Infine, dobbiamo stabilire una metodologia : come spieghiamo le risposte?
È chiaro dunque che in una società come la nostra, basata su rapporti di potere, esiste un sistema dominante di produzione dei saperi che definisce ciò che è vero e ciò che non lo è. E se nel corso della storia tutta una serie di gruppi marginalizzati si sono visti rifiutato l’accesso alle istituzioni, sono anche stati esclusi da questo processo di produzione di sapere e di conoscenza. Grada Kilomba individua quindi in questo sistema dominante di produzione di sapere la semplice riproduzione delle relazioni di potere e del sistema coloniale che sottende la nostra società.
Solo quando anche le comunità marginalizzate avranno vero accesso alle posizioni di potere e parteciperanno ai processi di definizione delle domande, delle prospettive e delle metodologie, “potremo costruire nuove configurazioni di conoscenza”.
Uno dei primi lavori che l’hanno portata a far conoscere le sue ricerche è “Plantation Memories : episodes of everyday racism”, ispirato dalla sua formazione freudiana e dalla sua esperienza con i sopravvissuti della guerra dell’Angola e del Mozambico. Si tratta di una serie di brevi racconti, adattati poi in opera teatrale, che esplorano il razzismo quotidiano sotto forma di brevi testimonianze raccontate da donne della diaspora africana. La lettura si concentra più sulle conseguenze e sul trauma del razzismo, dando voce all'esperienza di alienazione e trasformazione attraverso i diversi personaggi. Secondo Kilomba, "Il razzismo quotidiano si riferisce a tutto il vocabolario, i discorsi, le immagini, i gesti, le azioni e gli sguardi che pongono il soggetto nero e le persone di colore non solo come 'Altro' - la differenza con cui il soggetto bianco si misura - ma anche come Alterità, cioè la personificazione degli aspetti di ciò che la società bianca ha represso, attraverso l'infantilizzazione, la primitivizzazione, l'animalizzazione e l'erotizzazione. Il razzismo quotidiano non è una "singola aggressione" o un "evento discreto", ma piuttosto una "costellazione di esperienze di vita", una "costante esposizione al pericolo", un "modello continuo di abuso" che si ripete incessantemente nel corso della biografia di una persona: sull'autobus, al supermercato, a una festa, a una cena, in famiglia".
Per Grada Kilomba, la narrazione è un atto politico, necessario per interrompere il processo di conoscenza frammentata e la storia altro non è che un susseguirsi di momenti di epistemologia dove la vera ricchezza sono le diverse sfaccettature dei punti di vista.
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