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Cesar Manrique & Lanzarote

“... quise regresar a Lanzarote para verlo con ojos nuevos. Quería meterme dentro de su volcánica naturaleza y asombrarme ante su mágico espíritu, ante sus inquietantes y mudas noches, ante sus incomprensibles y terribles magmas de torrentes de lavas...”

Va uno viviendo, César Manrique, 1990

Pittura, scultura, arte pubblica e progettazione urbanistica. Possiamo parlare di arte totale sia per la varietà dei linguaggi espressivi coltivati da Manrique sia per l’identificazione tra visione artistica, esistenziale e spirituale. Una visione chiara e decisa.

Tutto ha inizio dal desiderio di rendere giustizia alla bellezza sconcertante e allucinatoria della sua isola, Lanzarote. Secondo i geologi, è il luogo terrestre col paesaggio più simile a quello lunare e marziano. Chi ha avuto la fortuna di andarci si è trovato davanti una quantità sterminata di coni vulcanici, espressione perfetta del mistero che portano con sé. L’isola è emersa nell’Oceano Atlantico, davanti al Marocco, 20 milioni di anni fa, come conseguenza di violenti movimenti sismici.

La natura è selvaggia. Vento, oceano, e luce, creano un’atmosfera dall’attrazione inspiegabile. Non sorprende che César Manrique, mosso dall’amore per questa terra, ne abbia fatto la sua fonte di ispirazione principale, intervenendo in nome della difesa del paesaggio e dell’integrazione tra architettura e natura secondo un rapporto di mimesis. César Manrique Cabrera (1919-1992) nasce ad Arrecife, Lanzarote, nell’arcipelago delle Isole Canarie. L'isola dal fascino extraterrestre oggi è costellata dalle opere architettoniche e scultoree dell’artista.

Manrique studia all'Accademia delle Belle Arti di San Fernando a Madrid. Partecipa a diverse mostre ed esposizioni internazionali, come la Biennale di Venezia del 1955 e del 1960 e la Biennale dell'Avana del 1955. In questo periodo realizza i suoi primi murales a Lanzarote. Nel 1964 si trasferisce a New York dove espone tre mostre personali presso la Galería Catherine Viviano ed entra in contatto con l’espressionismo astratto, la pop art e l’arte cinetica. Nel 1966 torna definitivamente a Lanzarote.

Gli anni Settanta sono decisivi per lo sviluppo economico dell’isola, che per una qualunque dell’arcipelago canario, anche oggi, si identifica col turismo: il rischio di vedere Lanzarote devastata dalla speculazione edilizia e compromessa in modo irreversibile spinge Manrique a protestare contro la costruzione di alberghi e complessi turistici. L’artista riesce a ottenere il permesso dal Cabildo (l’organo di governo insulare) di intervenire sul territorio realizzando una serie di centri di attrazione turistica. La ricerca dell’armonia tra il paesaggio naturale e l’intervento artificiale è sia il fine che la premessa del suo lavoro. I suoi lavori architettonici presentano dunque delle caratteristiche determinate dal contesto naturale: ne è un esempio la sua prima casa, El Taro de Tahíche, oggi sede di una casa-museo con opere dell’artista e di una fondazione a suo nome. Per questo progetto, approfitta di formazioni geologiche preesistenti, cinque burbujas volcanicas (bolle vulcaniche), collegate tra loro da tunnel scavati nella lava. Le bolle sono frutto di una serie di eruzioni che colpirono l’isola tra il 1730 e il 1736.

La produzione comprende lavori di arte pubblica come Jameos del Agua, Mirador del Río, Jardín de Cactus e opere realizzate in altre isole Canarie come la Costa Martiánez a Tenerife e il Mirador de La Peña a El Hierro. L’idea del paesaggio come fonte di ispirazione e di arricchimento spirituale è presente nella sua concezione estetica che definisce Arte-Naturaleza/Naturaleza-Arte. “El contacto directo de mi piel con las rocas de esta desnuda naturaleza me da el vigor de la energía de la vida”, scrive Manrique. Inoltre è convinto che l’osservazione e il contatto con la natura possano avere una vera e propria funzione pedagogica.


Fundación César Manrique

Manrique si ispira all’architettura popolare canaria, porta avanti i valori culturali dell’isola, inscindibili da quelli naturali. Il contributo artistico e politico di Manrique è stato decisivo per Lanzarote, che, a differenza delle grandi isole come Tenerife e Gran Canaria, è omogenea e armoniosa a livello architettonico e paesaggistico: le case sono imbiancate con la calce, le finestre azzurre o verdi, i camini sono di derivazione bizantina. Un’altra peculiarità dell’isola -sempre per volontà di César Manrique- è l’assenza totale di cartelloni pubblicitari. L’impegno sociale dell’artista viene riconosciuto anche a livello internazionale: nel 1978 ottiene il Premio Mondiale dell’Ecologia e del Turismo. Nel 1988 si trasferisce nella casa che ha progettato ad Haría, a nord dell’isola, e pubblica una raccolta intitolata Escrito en el fuego. Manrique muore nel 1992 in un incidente d’auto proprio di fronte alla sua vecchia casa, la sede della Fundación César Manrique.

A pensarci, è più unico che raro che a un’artista venga data l’opportunità di imprimere la propria vestigia su un’intera isola (che coincide anche col suo luogo di nascita) in modo così diffuso, eclettico, e soprattutto, rispettoso del contesto naturale. Tra attivismo e arte, etica ed estetica, ecologia e pedagogia, l’arte di Manrique è parte integrante dell’incanto di Lanzarote.


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