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Belle e addormentate


I molti volti di un romanzo rosa vecchio di secoli




La Bella Addormentata, Walt Dinsey,1959

Le molte rappresentazioni di vergini dormienti, in attesa del vero amore, o del vero stupro, affollano la storia dell’umanità. Attorno a loro c’è un mondo di uomini che le ha trovate belle e distese e ha pensato bene di farne pezzi da museo, magari imprigionandole in torri remote, o credendo di potersi arrogare il diritto di dare loro un bacio o qualche cosa di più. Sarebbe sbagliatissimo, tuttavia, voler bacchettare il passato, anzi le fiabe, perché non rispettano la nostra più aggiornata – e se per questo nemmeno sufficientemente diffusa – sensibilità in proposito.

Per riannodare i fili di questa annosa vicenda, che si spande dall’India all’Europa, occorre sospendere il giudizio, rannicchiarsi attorno ad un fuoco crepitante – ma va bene anche il baluginare dello schermo LCD – e cercare di ascoltare la storia della Bella Addormentata per quello che è: una fiaba immortale e soprattutto il più celebre romanzo rosa mai composto.

Questo racconto, celebre grazie al talento di Gian Battista Basile, dei fratelli Grimm e di Charles Perrault, ha raggiunto Hollywood con Walt Disney nel 1959. L’illustre animatore ha ambientato la storia in un medioevo stravagante, con giardini all’Italiana tardo rinascimentali e costumi ripresi dalla cultura fiamminga. Un esempio per tutti sono le diavolesche corna di Malefica: versione romanzata degli hennin, cappelli puntuti a loro volta di origine orientale. Tra torreggianti castelli, naturalmente nient’affatto medievaleggianti, ma tutt’al più simili alla ricostruzione cinquecentesca del Castello di Chaumont, e intricate foreste di rovi, Aurora viene maledetta, inseguita, nascosta, amata, addormentata e salvata. La passività della principessa è totale e la sua debolezza spicca anche solo osservando i suoi eterei e traballanti volteggi nel folto del bosco o il suo vitino irreale, perfettamente strangolato dai bustini dei suoi abiti.

Se però Disney è autore del Medioevo fantastico, ancorché irreale, dove si svolge la vicenda de La Bella Addormentata, in realtà ben più antica - o più recente come spiegheremo a breve - è la tradizione della probabilmente vergine e certamente bella principessa. Vale la pena allora muovere un passo indietro e cercare di capire com’è cambiata questa fiaba, allegoria di morte e resurrezione oltre che teatro di innumerevoli e malcelate perversioni e parafilie, per avere un po’ più chiaro il mutare del mondo e della sensibilità, che pare farsi drammaticamente onesto solo alle spalle di una bella ragazza addormentata.

Prima del Medioevo, erano soprattutto gli uomini a cadere profondamente addormentati. Diogene Laerzio racconta nelle sue Vite dei Filosofi la storia di Epimenide, pastore che, nel cercare una pecora fuggita dal gregge, viene colto dal sonno e si appisola per la modica quantità di cinquantasei anni all’interno di una grotta. Poi evidentemente i contatti con l’Oriente - la storia è confusa ed indecifrabile a questo punto - si fanno più stretti e le vicende delle donne prigioniere del sonno innaffiano la fantasia dell’Occidente. Ad ispirare i molti racconti può essere stata la fiaba indiana della bellissima Surya Bai: figlia di una lattaia, dapprima rapita dalle aquile, poi ferita dall’unghia di un orco e quindi condannata ad un profondissimo sonno. Essa si desta solo quanto il Rajà le si stende castamente a fianco e, notando e rimuovendo la scheggia che Surya ha conficcata nel dito, riporta la bella in vita.

Stravagante e non del tutto chiarita scientificamente è la storia di un’altra insospettabile bella addormentata: Maria di Nazareth. In effetti, quale sia stata la fine della madre di Cristo dopo la morte del figlio è stato argomento dibattuto. A complicare la storia post mortem della vergine è il suo essere senza peccato, quindi già salva e nella grazia di Dio. Per questa ragione oltre alla vicenda dell’assunzione, ad oggi dogma, che vuole Maria appunto ascesa al cielo, sopravvive, ad esempio nella Dormizione Greca dello Pseudo Giovanni del VI secolo, l’idea che la vergine si sia placidamente addormentata prima della sua scampagnata celeste. L’anima e il corpo della vergine poterono così dirsi al sicuro tanto dalla decomposizione quanto da principi fiabeschi troppo prodighi di attenzioni.



Dormitio Virginis del Beato Angelico. 1492


Abbandonando la religione e tornando alle favole però vale la pena sottolineare come non sempre il torpore che coglie le principesse vergini passi da schegge o ferite avvelenate. Talvolta sono le maledizioni a far chiudere gli occhi alle inevitabilmente belle protagoniste delle fiabe. È questo il caso della valchiria Brunilde, la cui vicenda è raccolta nelle Cligès di Chrétien de Troyes e nel racconto Eliduc di Marie de France. La valchiria si spegne nel suo raccoglimento letargico sotto l’effetto del maleficio del dio Othin. Quando la vergine combattente si ridesta, accanto a lei c’è Sigurd, il cavaliere che le si è disteso accanto con amore e senza offendere la sua portentosa verginità.




Siegfried sveglia Brunhilde Canvas by Ebenezer Cobham Brwer, German Mythology Art.

Dal Trecento in poi, versioni alternative di queste storie sbocciano in tutta Europa. Il romanzo cavalleresco anonimo Perceforest narra la storia di Troilo e Zellandia, antenati non illustri del celebre Lancillotto. Zellandia questa volta sprofonda nel torpore sotto l’incantesimo di una delle tre dee che hanno presenziato alla sua nascita. Fortunatamente una cura al sonno eterno c’è ed è il coito, altresì detto orgasmo. Il pauroso e vigliacco Troilo, trovando l’amata nuda e imprigionata in una imponente torre, riesce a somministrarle la cura necessaria con il fondamentale aiuto di Venere, che quasi orchestra meccanicamente l’atto.

Se il Perceforest è un romanzo vivace, nient’affatto paragonabile alle storie delle fate ma tutt’al più assimilabile al piglio realista e scanzonato di Boccaccio, d’altro tenore è la traduzione che ne fa, nel pieno della Controriforma, Michele Tramezzino. Naturalmente la nuova sensibilità smacchia via il sesso e soprattutto il suo racconto divertito. I toni si fanno morigerati: Troilo cura Zellandia sempre mediante il coito, ma lo fa senza alcuna passione e con la serietà che potrebbe appartenere ad un medico. Dal canto suo Zellandia si sveglia vergognosa di sé e già innamorata del suo abusante. La benedizione di un figlio fa rientrare questo dubbio rapporto sessuale, consumatosi fuori dal seminato del matrimonio, entro ciò che la Controriforma può considerare tollerabile.

La versione seicentesca della fiaba di Gian Battista Basile, Sole Luna e Talia appiattisce la vicenda della dormiente sul piano eminentemente materialistico: il suo torpore e il suo risveglio costringono la famiglia del principe a ridistribuire i beni, e a lasciarne priva la matrigna. L’eterno problema italiano degli immobili e della ricchezza diventa la chiave attraverso cui interpretare anche le fiabe, con buona pace della morale cattolica che scolora in secondo piano.


Perrault legge e reinterpreta Basile quando restituisce la sua versione della Bella addormentata nel Bosco. Il grande conoscitore di fiabe francese, tanto importante da permettere di rivalutare il genere letterario, scrive e vive nella Francia del Re Sole. Le pianificazioni politiche-sentimentali sono all’ordine del giorno, così come i matrimoni forzati e gli intrusi che, per ragioni economiche, possono fare breccia nel prezioso patrimonio sanguigno della nobiltà francese. Questo stesso clima si respira anche nella fiaba de La Bella Addormentata: Aurora, infatti, dopo il suo risveglio, che accade scaduti i cento anni del maleficio, si sposa segretamente con il principe che la ritrova, (similmente a come aveva fatto Luigi XIV con la marchesa di Maintenon), ma deve poi fare i conti con la madre di lui, discendente da una stirpe di orchi.

Perrault però, da bravo francese, chiosa con grazia sulla morale della fiaba, che nulla ha a che vedere con gli eventi politici che vi si potrebbero leggere in filigrana. Anzi, lo scrittore trasforma La Bella Addormentata in una parabola sull’importanza di aspettare il momento giusto prima di stringere l’indissolubile nodo coniugale: cento anni di letargo possono bastare.





The Sleeping Beauty, illustrazione di John Austen, Tales of Times Passed di Charles Perrault.


Infine, i fratelli Grimm, durante l’Ottocento, con essenzialità teutonica, riescono ad asciugare la ariosa versione di Perrault. La vicenda di Rosaspina, questo il nome della addormentata, viene ridotta ad una pagina e le varie sottigliezze psicologiche e i malcelati pettegolezzi di corte spariscono. Rimane la vicenda della piccola principessa che viene maledetta il giorno della festa a lei dedicata da una fata che non era stata invitata. La condanna a morte viene mitigata da un’altra fata, che la fa deviare su cento anni di sonno. Il giorno del suo sedicesimo compleanno, la principessa si ferisce con il fuso di un arcolaio, e sprofonda nel torpore. Il castello viene avvolto dai rovi e, nonostante molti principi tentino di farvi breccia, nessuno ci riesce. A distanza di cento anni, un prode cavaliere porta a termine la missione e scopre la bella che non può fare a meno di baciare. Lei, forse già in dormiveglia essendo scaduto il maleficio, apre gli occhi e tra i due si festeggiano nozze e amore.



La bella addormentata, illustrazione di Gustave Doré del 1867


Può stupire constatare come la versione di Disney abbia fatto poco o nulla per ricodificare questa fiaba, di fatto ancora fedele alla trama ottocentesca dei fratelli Grimm, con la sola aggiunta di una splendida strega cattiva: vera protagonista della vicenda. Allargarsi ad affermare che l’America di Disney potesse trovarsi perfettamente a suo agio nella sensibilità ottocentesca dei Grimm è certamente esagerato, ma ritenere che quella fosse ancora la versione che la maggior parte del pubblico avesse piacere di sentirsi raccontata non è del tutto fuori luogo.

In quest’ottica allora si fa più eloquente il più recente e terribilmente trash Maleficent, che non solo prende le parti della malvagia, ma fa anche intendere come la sua indole tenebrosa sia derivata dalla violenza che un uomo le ha rivolto. Un cambio di posizionamento non da poco, che in modo melenso ancorché pregevole, affolla la metà campo disertata da secoli della principessa e le permette, finalmente, di agire. Rimane l’ultima delle costrizioni: se dal titolo del film pare dimenticata la vicenda letargica della bionda quasi protagonista, resta ben impresso il secondo imperativo che ha tenuto secolarmente in piedi la fiaba: la bellezza. Può sembrare inutilmente polemico mettere il dito su questo dettaglio, ma non lo è se si tiene in considerazione che in tutte le versioni della storia, l’unica virtù rimasta inespugnata è proprio l’avvenenza della protagonista. La principessa, infatti, può fare a meno del bacio, dello stupro, della gravidanza, ma non può sfuggire al più imperdonabile dei malefici: quello della bellezza, ad ogni costo.


Bibliografia

Franci, Giovanna, e Ester Zago. 1984. La bella addormentata: genesi e metamorfosi di una fiaba. Prisma 5. Bari: Dedalo.


Pavlinich, Elan Justice. “Modernity in the Middle: The Medieval Fantasy of (Coopted) Feminism in Disney’s Maleficent.” In Studies in Medievalism XXVI: Ecomedievalism, 143–60. Boydell & Brewer.


Valerio, Adriana. 2017. Maria di Nazareth: storia, tradizioni, dogmi. Farsi un’idea 262. Bologna: il Mulino.


Sanfilippo, Matteo. 1998. Il Medioevo secondo Walt Disney: come l’America ha reinventato l’età di mezzo. Roma: Castelvecchi.




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